Le povertà di oggi: Arturo Castellani all'Abri Saint-Joseph di Quart

Le povertà di oggi: Arturo Castellani all’Abri Saint-Joseph di Quart

«Un tempo povertà era sinonimo di abiti logori e scarpe consumate. Oggi non è più così. Non è sempre facile identificare un “povero” a colpo d’occhio. E soprattutto la difficoltà economica non è più legata soltanto alla mancanza di lavoro». Così Arturo Castellani, Presidente del Consiglio Centrale di Aosta, ha introdotto il suo intervento all’Abri Saint-Joseph, luogo di accoglienza, ascolto e crescita per le 4000 persone che fanno riferimento all’Unità parrocchiale di Quart, Ville sur Nus e Brissogne.

All’incontro, che si è tenuto mercoledì 19 giugno, hanno partecipato Andrea Gatto, responsabile Caritas e Arturo Castellani, Presidente del Consiglio Centrale di Aosta della Società di San Vincenzo De Paoli.

«Negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso – ha proseguito Castellani – la povertà economica era spesso legata a disoccupazione, bassa istruzione e mancanza di accesso ai servizi essenziali. Oggi, la povertà economica è ancora una realtà, ma si manifesta in modi più complessi. La gig economy ha portato a lavori precari e poco retribuiti senza protezioni sociali adeguate. Così abbiamo incontrato il fenomeno dei working-poor, cioè di chi, pur avendo un posto di lavoro, non riesce a ricavarne un reddito sufficiente a far fronte a tutte le spese. Se poi spingiamo lo sguardo al domani troviamo un orizzonte con nubi ancora più dense perché automazione e intelligenza artificiale minacciano di eliminare ulteriori posti di lavoro.

In questo quadro, poi, dobbiamo inserire quelle povertà che non sono solo “materiali” ma prevalentemente “di relazioni”. Un mondo sempre più chiuso ed isolato produce solitudine. L’avanzare dell’età media, il crollo demografico e la crescente instabilità dei legami famigliari spinge inesorabilmente verso l’alto il numero degli anziani che hanno bisogno di assistenza.

Oggi, come “ieri”, ci sono persone impegnate al servizio di chi vive il disagio: i volontari. Ed io qui rappresento una delle associazioni con più storia alle spalle ed una tra le più organizzate sul territorio. Sapete che la Società di San Vincenzo De Paoli non solo opera in 155 Paesi del mondo, ma che ha anche un seggio consultivo all’ONU di Ginevra? Ebbene sì: quando a livello mondiale si deve prendere qualche decisione importante ci interpellano. Perché la Società di San Vincenzo De Paoli è da sempre “sentinella” del territorio grazie alla sua particolare vicinanza alle persone più fragili ed ha la capacità di incrociare i bisogni delle persone che vivono in difficoltà, di comprenderle “dal di dentro” e di farsene carico.

Ma per meglio riflettere sulle povertà di ieri e di oggi, vi parlerò di due figure straordinarie: il Beato Federico Ozanam e il Beato Pier Giorgio Frassati. Il primo, fondatore della Società di San Vincenzo De Paoli, il secondo, volontario instancabile ed esempio per tanti giovani anche dei nostri giorni. Entrambi ci offrono esempi luminosi di come affrontare la povertà con compassione, dedizione e azione concreta.

In un’epoca di grande trasformazione sociale e industriale, Ozanam vide la crescente disuguaglianza e la miseria che affliggevano le classi più povere. La sua risposta non fu solo teorica, ma pratica. Con un piccolo gruppo di amici, iniziò a visitare i poveri nelle loro case, portando aiuto materiale e sostegno spirituale. La sua convinzione era che la carità dovesse essere personale e diretta, un incontro tra esseri umani, che riconosce la dignità di ogni individuo.

Scriveva il Beato Federico Ozanam: “È troppo poco soccorrere l’indigente di giorno in giorno; bisogna mettere mano alla radice del male e, per mezzo di sagge riforme, diminuire le cause della miseria pubblica” (dal discorso all’Assemblea Generale del 14 dicembre 1848).

Sì, perchè se esiste una soluzione al problema della povertà questa passa non tanto per l’aiuto che mette temporaneamente a tacere un’emergenza, quanto attraverso l’intervento che permette di migliorare, a poco a poco, le condizioni dell’indigente, fino ad affrancarlo dalla condizione di bisogno. E questo lo possiamo e lo dobbiamo fare con uno sguardo al futuro, non proiettato soltanto sulla scadenza pressante, ma verso quell’orizzonte lontano che coinvolge il nostro intervento amicale verso le persone che affianchiamo, senza dimenticare il nostro diritto/dovere di proporre soluzioni che coinvolgano e motivino la società civile tutta e stimolino politici e governanti a correggere eventuali lacune ed imperfezioni legislative.

Ciò che caratterizza l’azione delle Conferenze di San Vincenzo è l’aiuto portato alle persone povere attraverso un rapporto personale e diretto attuato con la visita al loro domicilio, recandosi nelle abitazioni o nelle strutture (case di riposo, ospedali, Istituti, centri di accoglienza…) ove vivono le persone che soffrono il disagio e l’esclusione sociale.

La Società di San Vincenzo De Paoli fa propria la cultura del “prendersi cura”, sottolineando la scelta di una relazione di aiuto stabile e non occasionale con la persona, non limitata all’intervento di soccorso al bisogno materiale, ma orientata alla promozione integrale della persona e alla sua crescita umana e spirituale, divenendone compagni di cammino e accompagnandola sulla strada dell’autopromozione, perché gli sia restituita la dignità e il posto che gli spetta nella società.
Così la persona in difficoltà non è più soltanto “un bisogno sociale” da soddisfare, ma “una persona da amare”.

Personalmente trovo illuminanti queste parole di Federico Ozanam: “L’assistenza che umilia quando si preoccupa soltanto di garantire le necessità terrene dell’uomo, onora quando unisce al pane che nutre, la visita che consola, il consiglio che illumina, la stretta di mano che ravviva il coraggio abbattuto; quando tratta il povero con rispetto, non come un eguale ma come un superiore, giacché egli sopporta ciò che forse noi non sapremmo sopportare, giacché si trova fra noi come un inviato di Dio per provare la nostra giustizia e la nostra carità e per salvarci mediante le nostre opere” (da un articolo di Ozanam su “L’Ere Nouvelle”).

In questo contesto, la figura di Pier Giorgio Frassati ci offre un esempio di come vivere la carità nella nostra epoca. Nato nel 1901, Frassati era un giovane pieno di energia e passione per la vita, ma anche profondamente impegnato nell’aiuto ai poveri. Nonostante provenisse da una famiglia agiata, scelse di dedicare il suo tempo e le sue risorse per alleviare le sofferenze degli altri. Visitava i malati, aiutava i poveri e si impegnava attivamente in cause sociali e politiche. Frassati ci ricorda che la carità è un impegno totale, che coinvolge ogni aspetto della nostra vita, e che è inseparabile dalla giustizia.
Le povertà di ieri e di oggi, seppur diverse nelle loro manifestazioni, condividono un denominatore comune: la necessità di un amore concreto e operante.

Come Ozanam e Frassati ci hanno insegnato, non basta indignarsi di fronte alla sofferenza: dobbiamo agire. Dobbiamo incontrare le persone dove si trovano, comprendere le loro necessità e lavorare insieme per costruire una società più giusta e solidale.

In questo senso, possiamo trarre ispirazione dai loro esempi per affrontare le sfide del nostro tempo. Possiamo utilizzare le tecnologie moderne per connetterci e organizzare reti di supporto, promuovere politiche che riducano le disuguaglianze e lavorare per un’economia che metta al centro la dignità umana. E, soprattutto, possiamo vivere ogni giorno con uno spirito di carità, guardando al prossimo non come un estraneo, ma come un fratello o una sorella.

Mentre riflettiamo sulle povertà di ieri e di oggi, lasciamoci ispirare dall’eredità del Beato Federico Ozanam e del Beato Pier Giorgio Frassati. Che i loro esempi ci spingano a essere strumenti di amore e giustizia nel mondo, ricordando sempre che ogni piccolo gesto di carità può fare una grande differenza nella vita di chi ci circonda.

Dobbiamo darci da fare per dare forma a progetti innovativi che coinvolgano le persone in difficoltà e non dobbiamo aver paura di esplorare nuove forme di prossimità per essere capaci di rispondere ai nuovi bisogni».