Corriere della Valle - San Vincenzo, come cambia la povertà?

Come cambia la povertà?

Il Corriere della Valle, settimanale della Diocesi di Aosta, ha dedicato una pagina intera (pag. 8, giovedì 15 settembre 2022), alla nostra riflessione sui nuovi bisogni delle famiglie:

Come cambia la povertà?

La mappa delle fragilità: si fanno strada nuovi bisogni ed il reddito di lavoro non è più una garanzia sufficiente. Ma una carità più creativa ci potrà aiutare.

C’era un tempo in cui povertà era sinonimo di disoccupazione. Oggi non è più così: i cosiddetti “nuovi poveri” spesso un lavoro ce l’hanno, ma non riescono a ricavarne un reddito sufficiente per soddisfare i livelli di consumo che la società odierna impone. Così, accanto a migranti, profughi, rifugiati e persone che vivono al di sotto della soglia di povertà, troviamo un esercito di vulnerabili: stagionali, precari, interinali, co.co.co., a progetto, partite iva. A loro si aggiungono i genitori separati o divorziati (in Italia se ne contano 4 milioni, di cui 800.000 ai margini della soglia di povertà). Poi ci sono i NEET, i giovani che non lavorano e che stanno fuori dal circuito educativo: uno su tre vive ai margini della società. E persone con invalidità od inabilità che, sebbene riescano a procurarsi cibo, alloggio e vestiti con i loro sussidi, come accade ai “lavoratori instabili”, non possono soddisfare i criteri di una società sempre più consumistica.

Quanti sono i “nuovi poveri”? Quanto la pandemia ha inciso sul loro numero? Siamo davvero capaci di intercettare i nuovi bisogni e di offrire una valida risposta? Lo abbiamo chiesto a Walter Nanni, sociologo, dal 1996 è curatore del Rapporto annuale sulla povertà di Caritas Italiana e dal 2015 dell’edizione italiana del rapporto Cares di Caritas Europa: «Indubbiamente la pandemia da un lato ha amplificato un fenomeno già in atto, dall’altro ha colpito intere categorie di lavoratori che, prima del lockdown avevano uno stipendio ed una vita regolare. Pensiamo, ad esempio, agli stagionali del settore turistico: oltre il 70% degli operatori non ha lavorato. Nel corso del 2020 Caritas ha sostenuto più di 1,9 milioni di persone. Di questi il 44% sono “nuovi poveri”, famiglie che si sono rivolte ai centri d’ascolto per la prima volta per effetto, diretto o indiretto, della pandemia. Allargando lo sguardo al 2021 scopriamo che il numero di chi si rivolge alla Caritas per la prima volta è diminuito (37%) e questo è un timido segnale di ripresa post pandemia. Rimane alta la quota di chi vive forme di povertà croniche (27,7%); più di una persona su quattro è accompagnata da lungo tempo e con regolarità. A preoccupare invece è la situazione dei “poveri intermittenti” (19,2%), che oscillano tra il “dentro-fuori” la condizione di bisogno, collocandosi a volte appena al di sopra della soglia di povertà e che appaiono in qualche modo in balia degli eventi, economici/occupazionali (perdita del lavoro, precariato, lavoratori nell’economia informale) e/o familiari (separazioni, divorzi, isolamento relazionale, ecc.)».

Il Reddito di Cittadinanza

Poi c’è la questione del Reddito di Cittadinanza, una delle misure più divisive per la politica: demonizzato da una parte e amato dall’altra.

Quantifichiamolo: sono 4,9 milioni le famiglie (il 19% del totale) che beneficiano del Reddito di Cittadinanza; l’importo medio erogato è di 480 euro; il costo per le casse dello Stato è di 23,5 miliardi di euro.

È innegabile che questa forma di sostegno al reddito abbia giocato un ruolo importante nell’aiutare tutta quella parte del Paese che già versava in difficoltà prima della pandemia, ad affrontare la lunga crisi che ne è seguita. Ed è altrettanto vero che il Reddito di Cittadinanza sia una misura importante per alleviare situazioni di fragilità e vulnerabilità.

Il lavoro non è più una garanzia  

Qualcosa è cambiato. Fino a qualche tempo fa, quando tra le persone seguite dalle nostre Conferenze qualcuno trovava lavoro, facevamo una gran festa: la famiglia, presto, avrebbe ripreso a camminare da sola. Oggi non è più così, ci siamo accorti che il nostro aiuto serve ancora. Gli ultimi dati ISTAT (15 giugno 2022) confermano la nostra sensazione: l’occupazione ha smesso di essere, da sola, fattore di tutela e protezione, tanto che, in Italia, il 13% degli occupati vive sotto la soglia della povertà assoluta, mentre 1 lavoratore su 4 ha un basso compenso. Dietro all’aumento della povertà lavorativa si nascondano, oltre a salari stagnanti, l’aumentata instabilità delle carriere e l’esplosione del tempo parziale “involontario”, determinate dalla debolezza della struttura economica italiana (e quindi la crescita di “lavoretti” a basso valore aggiunto) ma anche da cambiamenti strutturali, come un aumento del peso dei servizi. Più che nella manifattura, infatti, nei servizi i lavori possono essere spezzettati in brevi fasce orarie, in alcuni casi assegnando alcune attività a società esterne per il minimo di ore possibili.

Il caro bollette

Secondo la Cgia di Mestre sarebbero 9 milioni gli italiani a rischio “povertà energetica” a causa del caro bollette di gas e luce. Ma, fino ad ora, il caro bollette ha colpito soprattutto artigiani e piccoli imprenditori. Le famiglie rischiano però una povertà “di rimbalzo” dovuta alla chiusura delle attività energivore, che potrebbe portare a scompensi nell’occupazione. La crisi energetica sta mettendo a dura prova la resistenza delle aziende e il benessere delle famiglie: proprio per questo motivo è necessario comprendere che non si tratta di un problema per le prossime generazioni, ma di una realtà tristemente attuale e concreta che il nuovo governo dovrà mettere sul podio delle questioni da affrontare.

I nuovi bisogni

Se da un lato il reddito del lavoratore diminuisce, dall’altro la società propone sempre nuovi bisogni. Così aperitivi, palestre, piscine, abiti ed accessori griffati, smartphone in continua evoluzione, trattamenti estetici, tatuaggi, ecc… assorbono quote sempre più importanti dei già risicati salari. Sgomberiamo subito il campo: nulla di male se ci concediamo comodità e svaghi, anzi! Ben venga la sempre maggior disponibilità di servizi e attività che favoriscono il nostro benessere e creano importanti opportunità di lavoro. Ad essere cambiato, però, è l’atteggiamento del mondo che ci circonda che, un tempo, considerava alcuni di questi eventi come isolati, magari un premio od una gratificazione da concedersi di tanto in tanto per un bel traguardo raggiunto. Oggi, al contrario, siamo arrivati alla massificazione (mi verrebbe l’idea di coniare il neologismo: “consumizzazione”), che fa sì che sia proprio l’accesso a questi prodotti e servizi a determinare il livello di inclusione od esclusione sociale.     

Non ti puoi permettere la palestra? Allora sei “out”. Fuori dal cerchio delle compagnie, “indegno” (ecco come si vorrebbe far cambiare il concetto di dignità!) di partecipare al gruppo e verrai escluso dagli inviti alle cene o alle feste.

La giusta via di mezzo  

A ben guardare ci accorgiamo che non è cambiata la povertà, ma il metro con cui la società giudica le persone. Forse, se il mondo attorno a noi detta nuove regole, è necessaria una riflessione: come dobbiamo comportarci?  È opportuno rivedere i parametri che utilizziamo per aiutare le famiglie in difficoltà e tener conto dei nuovi bisogni emersi? O si rischia di sottrarre risorse a chi ha necessità più concrete? Pensiamo ai senza tetto, ai migranti, ai rifugiati, ai tanti sfollati dalle zone di guerra in Ucraina e nel mondo, alla prossima ondata di umanità in fuga dalle carestie che questo assurdo conflitto sta innescando in varie parti del globo.

Una bella occasione di confronto potrebbe essere rappresentata dai Gruppi di Lavoro organizzati dalla Società di San Vincenzo De Paoli sul territorio per approfondire i contenuti dell’indagine sociale “Essere volontari vincenziani oggi”, realizzata in collaborazione con l’Università di Pisa.

Mi tornano in mente le parole che San Giovanni Paolo II rivolse, nel lontano 1983, ai membri della Società di San Vincenzo De Paoli, in occasione dei 150 anni dalla sua fondazione, quando, parlando di Federico Ozanam, diceva: «Si rimane strabiliati da tutto ciò che ha potuto intraprendere per la Chiesa, la società, per i poveri, questo studente, questo professore, questo padre di famiglia, dalla fede ardente e dalla carità creativa, dal corso della sua vita consumatasi troppo presto!  […] Ozanam si era anche e prima di tutto preoccupato di far fronte all’indifferenza religiosa e alla mancanza di fede dei suoi tempi. Ma aveva ben compreso che lavorare ad alleggerire la miseria dei poveri era il modo di mettere in pratica il Vangelo e nello stesso tempo di ravvivare la fede, di fortificarla e di renderla credibile. […] Non si può d’altra parte opporre giustizia e carità. Ozanam stesso ha preconizzato audaci misure per migliorare, giustamente, le condizioni di vita dell’ambiente operaio nascente. Fu uno dei precursori del movimento sociale coronato dall’enciclica Rerum Novarum. Ma sapeva anche che la carità non attende: essa aiuta l’uomo concreto che soffre oggi. Vi sono ancora senza dubbio persone che pensano che la carità che voi praticate rischi di frenare, con i suoi piccoli sollievi, il processo necessario per creare una società umana interamente rinnovata e liberata dall’ingiustizia. Ciò non vi deve preoccupare. Certamente, bisogna sempre prendere posizione contro l’ingiustizia, e precisamente per proteggere a lungo termine i piccoli e i poveri di cui tanto vi preoccupate. Ma è la stessa carità che suscita l’uno e l’altro sforzo. E non è sufficiente riflettere generosamente sull’amore verso l’umanità intera: bisogna amare concretamente quello che il Vangelo chiama il prossimo, che ci è vicino o a cui ci si avvicina. Ogni sistema sociale, anche se si vuole fondato sulla giustizia e anche ogni aiuto organizzato, che certamente è molto necessario, non dispenserà l’uomo dal volgersi con tutto il suo cuore verso il suo simile. È questo anche il suo modo di amare Dio che non vede (cf. 1 Gv 4, 20)» (San Giovanni Paolo II, Discorso ai membri della Società di San Vincenzo De Paoli, 28 aprile 1983).

È l’amore verso il prossimo, quello che deriva dal nostro Carisma, che ci aiuterà a trovare il giusto equilibrio tra il sostenere i nuovi bisogni e il proseguire, con costanza e determinazione, ad alleviare le “vecchie povertà”.

Il Beato Federico Ozanam scriveva: «L’assistenza umilia quando si rivolge all’uomo prendendolo dal basso, pensando solo ai bisogni terreni, quando si fa attenta solo alle sofferenze della carne, al grido della fame […] L’assistenza umilia se non ha nessuna reciprocità, se portate ai vostri fratelli solo un pezzo di pane, un abito, una manciata di paglia che mai probabilmente vi troverete a ridomandargli […] se, nutrendo coloro che soffrono, sembrate come occupati a soffocare le erbacce che rattristano la vita di una grande città, o a scongiurare i pericoli che ne minacciano il riposo. Ma l’assistenza onora quando si rivolge all’uomo prendendolo dall’alto, quando si preoccupa, in primo luogo, della sua anima, della sua educazione religiosa, morale, politica, di tutto ciò che lo rende libero […] L’assistenza onora quando aggiunge al pane che nutre la visita che consola» (Federico Ozanam, Articolo “L’assistenza che umilia e quella che onora”, L’Ere Nouvelle, 1848).

Dunque, portiamo con noi non solo pane, non solo aiuti materiali, ma anche tutto il conforto, l’amore e l’attenzione di cui saremo capaci. Talvolta questa carezza di umanità coinciderà con il cercare di spiegare, a chi ci chiede aiuto, che determinati “bisogni” non sono così essenziali come la società che ci circonda vorrebbe portarci a credere. Ecco l’aspetto pedagogico dell’amore, che è anche uno dei capisaldi della nostra attività di volontariato. Altre volte sarà proprio quell’amore a spingerci ad andare più in là ed aprirci ad assecondare un nuovo bisogno. D’altra parte, anche contrastare ogni forma di ingiustizia sociale rientra tra i nostri compiti: ciascuno, indipendentemente dalla propria posizione e provenienza, deve avere la possibilità di essere considerato alla pari di tutti gli altri individui in ogni contesto.

Alessandro Ginotta
Ufficio Stampa Coordinamento Interregionale Piemonte e Valle d’Aosta
Società di San Vincenzo De Paoli